SECCO
"Non esiste una reale separazione tra suono e silenzio, ma soltanto tra l’intenzione di ascoltare e quella di non farlo."
John Cage
John Cage
C’è vita dentro agli oggetti
di Linda Azzarone La nostra esistenza è circondata da oggetti. In genere li trattiamo con indifferenza: li usiamo, li compriamo o li vendiamo. Difficilmente ci fermiamo a pensare al rapporto che abbiamo con loro. Eppure quando possediamo un oggetto, questo si trasforma in qualcos’altro. Acquisisce nuovi significati che possono essere affettivi, intellettuali o altro. Significati che vanno al di là della funzione pratica e del valore economico. Pensiamo ad esempio a una bambola per una bambina, di certo per lei non sarà un semplice oggetto ma qualcosa di più importante. L’oggetto ha infinite valenze: implica il lavoro umano, l’idea dello scambio e gli interessi politici ed economici che ci stanno alla base; implica la funzione magica e quella religiosa (esistono i talismani, tanto quanto gli ostensori); implica il feticcio, il dono e tutta una serie di rapporti sociali. Ad esempio un oggetto di uso comune come il cellulare assume uno statuto differente, quando scopriamo che alcuni minerali usati per la sua fabbricazione hanno scatenato una guerra in Africa. Manipoliamo e ci lasciamo manipolare dagli oggetti. Essi condizionano la nostra vita e si lasciano condizionare da noi. C’è vita dentro agli oggetti. Si fanno testimoni del tempo che passa, conservando le nostre memorie: la nostra storia. Nella serie fotografica Secco (2016) Davies Zambotti affronta questo tema, partendo da un’analisi interiore. Attraverso il codice visivo della fotografia – uno strumento imparziale e al tempo stesso aggressivo – l’artista ci invita a riflettere sul valore che attribuiamo alle cose materiali. Le opere in mostra raffigurano tutti oggetti per lei significativi: un binocolo, delle candeline di compleanno usate, un rullino, un dente chiuso in una busta di plastica e alcune polaroid. Ognuno di essi è isolato su una superficie bianca, avvolto in uno strato di cellophane e illuminato dall’alto. Sono immagini che testimoniano lo scorrere del tempo e il nostro maldestro tentativo di bloccarlo. La pellicola è appunto un sistema, apparentemente bizzarro, per rallentare l’azione del tempo. Come un invisibile campo di forza, il cellophane impedisce alle cose di deteriorarsi. Ma soprattutto, è un modo per sottolineare l’oggetto, per renderlo particolare, cioè significativo. Il termine “secco” si riferisce alla volontà dell’artista di mettersi a nudo, esponendo i suoi effetti personali. Tuttavia l’oggetto è silente, non parla. Per carpire le sue informazioni bisogna metterlo in un luogo asettico de-contestualizzato e analizzarlo da un punto di vista freddo e distaccato. Proprio come un manufatto dentro la teca di un museo, il reperto di una scena del crimine o il corpo di un defunto steso sul tavolo di un obitorio. Infatti il punto di vista delle fotografie è quello di un osservatore esterno. Non possiamo toccare gli oggetti, tuttavia essi ci costringono a pensare. Lo strato di plastica che li avvolge ci provoca un senso di straniamento. È una barriera sottile che ci spinge a uscire dalla nostra zona di comfort, instillandoci dubbi e incertezze. In questo modo Davies Zambotti ci rende partecipi della sua opera. Pubblicato il 25/02/2019 su DEGENEratA |
Oggetti, oggetti, oggetti
di Daviees Zambotti non dimenticare di esistere tramite la forza sprigionata dall'oggetto l'oggetto come varco per la nostra concretezza in questo mondo, in questo modo qualcosa che parla per noi qualcosa che parla di noi qualcosa che noi crediamo di possedere e quindi di essere nuovi silenzi si affacciano fisici, concreti, ingombranti come i sogni del mattino come il nostro essere caduco come la nostra infinita precarietà secco come il suono prima della parola come la differenza fra l'oggetto e la cosa tra il possesso e la causa tra la materia e la proiezine |